Una vita per la libertà, la democrazia, l'impegno politico nel Pci

di Emilio Pegoraro (testo tratto da C. Amedei e A. Naccarato, Una Storia nella storia. Il Pci di Padova 1921-1991, Il Prato, Padova, 2021)

Con questo mio intervento vorrei dare il mio doveroso contributo all’anniversario del centenario della fondazione del Partito comunista italiano che ricorrerà nel gennaio 2021.

Partendo dalla mia personale esperienza vorrei soffermarmi, in particolare, su quello che riguarda la rinascita del Pci dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. La rinascita politica, economica e sociale dell’Italia alla fine del conflitto, infatti, non è stata affatto automatica; è stato necessario, invece, creare una situazione favorevole perchè la rinascita dell’Italia democratica avvenisse e, in questo senso, è stata fondamentale l’azione del Partito comunista italiano nella Resistenza e nella successiva ricostruzione italiana dalle macerie del nazifascismo. 

L’ESPERIENZA DELLA GUERRA: LA CAMPAGNA DI RUSSIA 

Vorrei partire, nel mio racconto, dalla campagna di Russia, a cui ho partecipato fin dal primo giorno dopo che, il 22 giugno 1941, l’Unione Sovietica era stata invasa dalle truppe tedesche. In quel Momento Mussolini è fuori di sé perchè non vuole essere escluso nella battaglia contro il comunismo ingaggiata da Hitler e decide quindi di creare il Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR): il 9 luglio 1941 si creano le condizioni per la partenza dello CSIR ed io parto da Brescia alla volta della Russia con un gruppo che comprendeva altri 62 militari. Vengo assunto come stenodattilografo presso il quartier generale dell’Intendenza che rivestiva un’importanza fondamentale per la gestione della campagna di Russia da parte dell’Esercito.

Il 6 agosto del ‘41 faccio tappa a Botosani, in Romania, ed inizio lì la mia attività come stenodattilografo. Si è trattato, per me, di una situazione di grande privilegio poichè ho potuto vivere la guerra dall’interno. Dopo sono arrivato in Unione Sovietica, di stanza a Stalino.

La campagna di Russia è stata per me un'esperienza veramente tragica: lo CSIR è partito dall’Italia male armato e peggio equipaggiato, basti pensare, ad esempio, che un nostro carro armato pesava solo 3 tonnellate, mentre quello tedesco ne pesava 30 e quello sovietico 41.

L’equipaggiamento era totalmente inadatto, avevamo divise di tela e, per affrontare l’inverno russo, dovevamo addirittura comprarci in autonomia del vestiario pesante per proteggerci dal freddo rigidissimo.

Il rapporto tra noi italiani ed i tedeschi, che ho narrato anche nel mio libro “Campagna di Russia. Storia di un privilegiato”, era difficile e per niente amichevole. I nostri soldati, che andavano in combattimento così male equipaggiati, erano degli eroi e invece i tedeschi li definivano “mezzi uomini”. In questo periodo sono stato testimone diretto di situazioni incredibilmente tragiche: ho visto ebrei impiccati per strada o che marciavano diretti verso i campi di concentramento. Ricordo ancora con grande impressione una bambina, avrà avuto dieci anni, che marciava con la sua bambola stretta al petto. Ho assistito a queste scene ma mai avrei potuto pensare quello che si è scoperto dopo, mai avrei potuto immaginare la tragica fine che hanno fatto gran parte di queste persone solo perchè erano ebree o prigionieri, trattati come schiavi e fatti lavorare fino allo sfinimento nelle industrie tedesche. 

Nel quartier generale dell’Intendenza, dove prestavo servizio, ero in contatto con molti ufficiali che mi hanno anche raccontato come i militari tedeschi andassero negli ospedali per decidere se un soldato rientrato dal fronte dovesse vivere o morire, a seconda delle ferite riportate: li chiamavano gli “angeli della morte”, di fatto decidevano sulla vita dei soldati, eliminando quelli con le ferite più gravi così come Hitler, in patria, aveva fatto con i portatori di handicap.

I tedeschi erano degli invasati: ora sappiamo per certo anche che assumevano droghe per andare a combattere in guerra e sembrare sempre in forma. In questo contesto io non potevo che odiare questi militari che si comportavano come bestie. 

Ad un certo punto ho avuto una grande fortuna: lo CSIR, da semplice corpo di spedizione, si è trasformato in una vera e propria armata e la nostra avanzata si è arrestata sul Don, dove si è svolta l'ultima battaglia, molto conosciuta a livello storico. Io ero lì, l’ho vissuta in prima persona ed ho capito in breve tempo che saremmo stati pesantemente sconfitti.

Nel dicembre del 1942, dopo due inverni, ho avuto la possibilità di essere sostituito da un altro militare proveniente dall’Italia e andare in licenza. Si trattava di un atto coraggioso perchè significava che poi sarei dovuto tornare in Russia. Ho quindi ottenuto una licenza di tre mesi (ma un mese serviva per l’andata ed uno per il ritorno) e sono tornato a casa alla vigilia di Natale.

Poi è accaduto che, nel momento in cui sarei dovuto ripartire per il fronte russo, c’è stata la disfatta delle forze nazifasciste in Unione Sovietica ed io, pensa che fortuna!, sono partito dalla Russia per l’Italia proprio 8 giorni prima della grande offensiva dell’Armata Rossa contro gli invasori: avessi ritardato di qualche giorno la mia licenza non sarei più potuto tornare a casa.

In ogni caso io mi sono presentato al Comando tappa di Trieste, quando sarei dovuto tornare in Russia per poter ripartire e lì mi hanno informato dell’impossibilità di farlo, quindi sono rimasto nel Distretto militare di Trieste fino all’armistizio dell’8 settembre 1943.

In quel momento sono riuscito ad uscire dal Distretto militare, proprio quando sembrava che Mussolini fosse riuscito a convincere Hitler a mettere insieme, dopo la disfatta, un nuovo Corpo di spedizione diretto in Russia. Per fortuna Hitler non è stato d’accordo dal momento che si sarebbe trattato di dare tutto agli italiani, armi, vestiti, cibo, equipaggiamenti etc.

Al momento dell’armistizio dell’8 settembre, insomma, sono riuscito a tornare a casa.

IL RITORNO A CASA, LA RESISTENZA CONTRO I NAZIFASCISTI E LA LIBERAZIONE 

Tornato a casa non ho avuto dubbi, dopo la mia esperienza in Russia, su quello che sarebbe stato meglio fare. Ho scelto perciò di lavorare per la costituzione delle formazioni partigiane.

A Fontaniva, il mio paese, mi sono rivolto a degli antifascisti che erano tutti comunisti. Con loro e anche con tanti altri militari che erano riusciti a tornare dal fronte abbiamo creato la Brigata Garibaldi «Franco Sabatucci». In quel momento, quindi, abbiamo scelto di non fare quello che avevano, ad esempio, fatto in Jugoslavia, cioè creare delle unità combattenti contro i tedeschi ma abbiamo deciso, invece, di costituire una Compagnia dedita ad atti di sabotaggio perchè lo scontro diretto contro i nazifascisti, tedeschi e repubblichini di Salò, visto che, nel frattempo, si era costituita la Repubblica Sociale Italiana (RSI), sarebbe stato disastroso per noi.

Abbiamo fatto saltare dei ponti, liberato dei militari prigionieri dei nazifascisti della RSI ed altre azioni di questo genere, soprattutto insieme ai partigiani democristiani della «Damiano Chiesa».

Sempre insieme ai partigiani della «Damiano Chiesa», poi, abbiamo anche concordato di colpire una spia fascista che aveva fatto sparire un partigiano di Cittadella. Durante questa azione, però, c’è stato uno scontro armato in cui io sono stato ferito. Per fortuna la pallottola mi ha colpito sotto la costola ma è uscita da sola. Anche in questo caso ho avuto molta fortuna: sono stato medicato subito da un infermiere della «Damiano Chiesa» che mi ha somministrato un nuovo farmaco che ci era stato consegnato dagli americani via aerea, la penicillina. Così ho avuto salva la vita.

 

Tre giorni dopo questo fatto sono stato arrestato dalle brigate nere che mi hanno imprigionato, insieme ad altri partigiani, nelle famigerate carceri nazifasciste di Bassano del Grappa, comandate dal tenente Alfredo Perillo, un criminale di guerra, e considerate un carcere di massima sicurezza. Ricordo che mi hanno chiuso in una cella nei sotterranei dove, all’entrata, campeggiava la scritta: “MORITURI”. La mia idea fissa, allora, anche per salvare la mia famiglia, è stata quella di fuggire: dovevo evadere a tutti i costi anche perchè, se avessero scoperto la mia ferita, mi avrebbero certamente ucciso. La fuga dal carcere di Bassano mi è riuscita solo al terzo tentativo: sono stato da subito molto deciso nel voler scappare dal carcere ma ho anche avuto molta fortuna.

Subito dopo l’evasione ho vissuto in clandestinità fino alla Liberazione, i primi giorni a Fontaniva, poi a Creazzo, nel vicentino, e poi ancora ospitato e protetto da molti coltivatori diretti fino al 25 aprile, quando Fontaniva è insorta con un moto di popolo! Sono insorti tutti i cittadini, semplici compaesani, preti, monache, tutti!

Abbiamo catturato seicento prigionieri nazifascisti e abbiamo avuto la fortuna di occupare una villa, precedentemente usata da tedeschi e repubblichini, dove c’era ogni tipo di cibo. Le donne di Fontaniva, allora, si sono messe a cucinare per tutti, compresi i prigionieri. Ricorderò sempre che gli americani sono arrivati a Fontaniva alle 11.20 di domenica 29 aprile 1945. La liberazione del paese, quindi, si è protratta, grazie all’azione di noi partigiani, per quattro giorni, dal 25 al 29 aprile ‘45. A questo punto, per noi, la guerra era finalmente finita.

Quali conseguenze si possono trarre da tutta questa vicenda? Si può dire che l’Italia, come dimostrato dall’azione svolta dalla Resistenza in tutto il Nord Italia occupato dai repubblichini della RSI e dai nazisti, ha potuto godere di una situazione di privilegio. La Germania, infatti, dove non c’è stata la Resistenza come si è manifestata in Italia, alla fine della guerra è stata divisa tra le potenze vincitrici e, per parecchi anni, è stata occupata. L’Italia, invece, grazie all’opera dei partigiani, ha potuto godere immediatamente di una situazione di privilegio: all’indomani della fine della guerra si è tenuto il referendum tra Repubblica e Monarchia, è stata eletta l’Assemblea costituente per dotare il Paese di una Costituzione e si sono svolte elezioni democratiche. La Resistenza ha rappresentato una condizione essenziale perchè questi eventi potessero avere luogo. 

LA RINASCITA DEL PARTITO COMUNISTA NEL DOPOGUERRA ED IL MIO IMPEGNO POLITICO E SOCIALE 

Abbiamo avuto molte perdite dolorose, molti caduti durante la guerra e la Resistenza contro il nazifascismo. Finita la guerra, però, in tutta Italia si respiravano un grande entusiasmo ed una grande volontà di ripresa.

A Fontaniva abbiamo subito aperto una sezione del Pci, praticamente risorto dopo la Liberazione, e abbiamo avuto subito un’altissima adesione, arrivando a seicento iscritti.

La mia principale volontà, dopo la Liberazione, è stata quella di completare gli studi per ottenere il diploma di ragioniere e perito commerciale. Ho quindi frequentato subito l’anno scolastico 1945-1946 ed ho conseguito il diploma a cui tenevo. Subito dopo, proprio quando iniziavo a pensare a trovare un lavoro, si è presentato a casa mia il carissimo amico e compagno Emilio Rosini e mi ha comunicato, essendo io già conosciuto per le seicento tessere del partito che ero riuscito a fare nella sola Fontaniva ed avendo frequentato la federazione comunista di Padova durante i miei studi, di essere stato scelto - in un gruppo ristretto di 30 comunisti in tutta l’Italia - per frequentare un corso di formazione politica del Pci che si sarebbe tenuto a Milano, presso la villa dell’amante di Mussolini, con docenti che provenivano anche dalla scuola marxista-leninista di Mosca. E’ stata, per me, un’esperienza decisiva: ho frequentato con grande profitto ed entusiasmo questo corso di formazione politica dove, tra le altre cose, mi hanno insegnato come si realizza un giornale, come si tiene un comizio, fornendomi poi insegnamenti di storia che mi sono stati molto utili anche in seguito. Il corso è durato sei mesi ed io sono stato anche eletto come segretario del gruppo di 30 comunisti di cui facevo parte.

Nel partito, poi, ho via ricoperto altri incarichi. I primi mesi dopo il corso di Milano sono stato funzionario del Pci, incaricato di seguire l’organizzazione e le attività del partito nella mia zona, l’Alta padovana.

Successivamente, per le elezioni politiche del 1948, sono stato incaricato di organizzare la campagna elettorale del partito nel Nord della provincia, mandamento di Cittadella. In questa esperienza ho fatto tesoro di ciò che avevo imparato a Milano. Ricordo che, in tutti i comizi che organizzavo c’era sempre, puntuale, un prete, un gesuita che mi chiedeva sempre il contraddittorio davanti al pubblico tirando fuori un giornale, la “Pravda” diceva lui, in cui c’erano scritte delle palesi falsità. Io, però, non cadevo in queste provocazioni, esponevo quello che era il programma del Fronte popolare e cercavo di spiegarlo alla gente.

Bisogna ammettere, però, che la gente applaudiva padre Alessi (il gesuita NdR) e che le proposte del Fronte popolare non hanno fatto molta presa sull’elettorato diffuso cosicchè, nel cittadellese come in altri posti nel Paese, la situazione si è fatta abbastanza difficile per il Pci.

Nel partito ho avuto anche altri incarichi a carattere provinciale. In un congresso nazionale sono stato eletto nella Commissione di controllo.

Sono stato eletto due volte in consiglio comunale, tre volte nel consiglio provinciale di Padova e tre volte in Parlamento, nella V, VI e VII legislatura.

Questi sono stati gli incarichi ricoperti grazie al partito.

 Però, per me, la cosa più importante è rappresentata dagli incarichi che ho ricoperto in campo sociale. In un primo momento, sono stato eletto segretario della Camera del Lavoro di Cittadella, nel momento in cui c’è stata la scissione sindacale dopo l’attentato a Togliatti (14 luglio 1948 NdR).

Poi, tenendo conto anche del mio personale orientamento (a favore dei coltivatori diretti, non solo braccianti agricoli ma anche mezzadri NdR) la scelta è stata quella di lavorare per costruire un’associazione democratica di coltivatori diretti in contrapposizione a quella che era l'organizzazione analoga, molto radicata sul territorio, fondata e presieduta a livello nazionale da Paolo Bonomi[1]. E’ stato questo l’incarico più importante della mia vita.

E’ successo questo, che non è molto risaputo. Prima della Liberazione i partiti riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) avevano stabilito che, per quanto riguarda l’organizzazione della vita sociale e sindacale dell’Italia democratica, ci dovessero essere due forze: la CGIL, come sindacato unitario, che avrebbe dovuto organizzare operai e braccianti e poi un’altra organizzazione, sempre unitaria, la Federterra, con il compito di organizzare tutti i lavoratori della terra, braccianti ma anche mezzadri. Questa impostazione, però, non era condivisa dal Pci e ci si mise al lavoro per modificare questo assetto. Perciò all’inizio, nel 1947, c’era la sola Federterra, poi, con Emilio Sereni in testa, il Partito comunista italiano si è invece impegnato per la creazione di un’organizzazione autonoma di coltivatori diretti. Così è nata l’organizzazione di lavoratori della terra di orientamento comunista dove io ho lavorato per alcuni anni con pochi altri compagni. Si è poi ritenuto che io fossi il più adatto a fare questo lavoro e perciò, dal primo gennaio 1952, sono rimasto solo io come dirigente di questa associazione di coltivatori diretti.

Il primo atto dell’associazione, sotto la mia direzione, è stato quello di spostare la sede da quella iniziale, all’interno della CGIL, ad un’altra per renderci autonomi, nella quale ho poi lavorato due anni, dal 1952 al 1954, da solo. Nel 1956 ha iniziato a collaborare con me Ennio Caccin, una bravissima persona, e siamo successivamente cresciuti nel numero di lavoratori al servizio dell’associazione. Così, nel 1956, anche per premiare il nostro intenso lavoro, è stato organizzato a Padova il primo congresso dell’associazione. Ho continuato a lavorare per l’Alleanza Contadini fino a quando non sono stato eletto Senatore. Con l’elezione ho lasciato l’associazione per fare il parlamentare: da una sola persona nel ‘52 i lavoratori dell’organizzazione erano diventati ben 70 tra impiegati e tecnici agrari. 

Oltre a questa attività, poi, ho anche diretto l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) a livello provinciale e regionale e contemporaneamente ho collaborato con l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea (ISREC) dell’Università di Padova, di cui sono stato vicepresidente.

Inoltre ho scritto 19 libri sulla Resistenza e sui temi legati all’agricoltura.

L’ultima considerazione che vorrei fare riguarda l’attività che ho svolto nel partito insieme a Giorgio Napolitano, a cui mi lega un solido rapporto di amicizia nato proprio nella comune visione politica all’interno del Pci, anche in campo agrario. Con Napolitano ho intrattenuto una corrispondenza anche di recente, in occasione dell’uscita del mio libro sulla campagna di Russia.

 OGGI, L’INSEGNAMENTO PER I GIOVANI: NON DIMENTICATE IL PASSATO! SENZA MEMORIA NON C’E’ FUTURO

 Oggi ho fiducia nel Partito Democratico. Concordo con l’idea di un governo guidato dal PD, di centrosinistra, insieme a degli alleati che però devo condividere fino in fondo il metodo democratico. Ora, per esempio, con i lauti contributi destinati all’Italia da parte dell’Unione Europea per fronteggiare i danni prodotti dalla pandemia, spero si possano mettere in campo azioni veramente efficaci per risollevarci. Le misure prese finora dal Governo vanno rispettate.

 Nel Veneto, purtroppo, alle ultime elezioni regionali, abbiamo avuto una sconfitta grave: è necessario tornare a lavorare tra la gente per conquistare la fiducia delle persone, spiegando le proposte del programma politico del centrosinistra; un programma che, poi, non va solo annunciato con le parole ma realizzato nei fatti.

 A Padova ho un giudizio molto favorevole dell’operato del Sindaco Sergio Giordani che sta portando avanti un lavoro interessante.

 Cosa posso dire ai giovani di oggi? A loro dico chiaramente: non bisogna dimenticare il passato! Questo è l’unico vero antidoto contro chi, come per esempio Salvini, che aspirava esplicitamente ai “pieni poteri”, vorrebbe essere una persona sola al comando, un altro duce!

E’ necessario comprendere che la democrazia comporta delle responsabilità che non possono essere di una sola persona ma devono essere condivise.

Perciò ripeto: Non dimenticate il passato!

Il mio più grande rammarico, oggi, data la mia età, è proprio quello di non poter andare più nelle scuole a dare la mia testimonianza agli studenti, ai più giovani, di quella che è stata la tragedia del nostro Paese, causata dalla guerra e dalla lotta ai nazifascisti.

Quel passato non deve più tornare.

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Questa testimonianza è stata raccolta con intervista è stata filmata e registrata il 10 ottobre 2020 da Salvatore Metrangolo e Alessandro Naccarato. In quella occasione Emilio Pegoraro ha deciso di affidare al Centro studi Ettore Luccini e alla Fondazione Nuova Società, per la realizzazione della mostra per il centenario del Partito comunista, alcuni documenti molto importanti: tessere del Pci, opuscoli dei corsi di Partito, quaderni di appunti personali, la fotografia incorniciata della manifestazione di Togliatti in Piazza Insurrezione del giugno 1953, riprodotta nella copertina del presente catalogo.

Gli organizzatori della mostra ringraziano Emilio Pegoraro per l’intervista, per il materiale messo a disposizione e, soprattutto, per la straordinaria attività che ha svolto con serietà e rigore esemplari come partigiano, come dirigente di Partito e delle associazioni dei contadini e dei coltivatori diretti e come parlamentare della Repubblica: un esempio per le giovani generazioni.



[1] Si tratta della creazione dell’«Alleanza Contadini» (oggi Confederazione Italiana Agricoltori), emanazione del Pci, in contrapposizione alla «Coldiretti», vicina alla Democrazia Cristiana, di cui Paolo Bonomi è stato anche parlamentare.

L’«Alleanza Contadini» nasce il 3 dicembre 1955 (il 20 dicembre, secondo altre fonti) a Roma, dall'Associazione nazionale dei coltivatori diretti (aderenti alla Confederterra), l'associazione dei contadini del Mezzogiorno d'Italia, l'Unione dei coltivatori siciliani, l'Unione dei contadini e pastori sardi, il Comitato nazionale di coordinamento tra le Associazioni autonome degli Assegnatari, il Settore cooperativo agricolo della Lega nazionale delle Cooperative e Mutue. Lo scopo originario della nuova organizzazione, presieduta da Ruggero Grieco fino al 1955 (anno della sua morte), nell'intento dei promotori, sarebbe stato quello di rappresentare "le organizzazioni contadine unitarie e democratiche, e assicurarne il coordinamento, innalzando e portando avanti, nella concreta realtà dei propositi e dell'azione comune, la bandiera dell'unità, del riscatto e del progresso di tutti i contadini italiani". E' del 1955, quindi risalente al primo anno di vita della nuova organizzazione, il Patto d'intesa tra Alleanza Nazionale Contadini e Confederterra. La sua attività si colloca quindi a cerniera tra l'attività sindacale più tradizionale, che si occupava ormai da tempo della tutela dei lavoratori dipendenti del settore, e quella dei vecchi e nuovi strati di piccoli proprietari (di terre o di bestiame), che ormai rappresentavano, nel declino del latifondo, la nuova realtà della campagna italiana. [...] Alla morte di Ruggero Grieco la presidenza fu assunta da Emilio Sereni.[...] L'entrata in carica di Sereni (eletto durante il I Congresso di Roma, nel 1962, riconfermato nel 1965 e quindi presidente del Consiglio generale) coincise con una trasformazione radicale dell''Alleanza, da organismo federativo a organizzazione unitaria e professionale.[...] Nel 1977, anno della scomparsa di Emilio Sereni, che tanta parte aveva avuto nella vita dell'Alleanza Nazionale Contadini, l'organizzazione si unisce nella Costituente contadina alla Federmezzadri e all'UCI Unione Coltivatori Italiani, dando origine alla Confederazione Italiana Coltivatori, oggi CIA Confederazione Italiana Agricoltori. Cfr http://dati.san.beniculturali.it/SAN/produttore_IT-ER-IBC_san.cat.sogP.66775