1921-1943: Dalla fondazione del Partito al crollo del regime

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DOCUMENTI E FOTOGRAFIE

Le origini

Tessera PCd’I 1921 
Nei primi anni del Novecento il movimento socialista era presente nella città di Padova e in alcune aree della zona a sud della provincia. A Padova era attivo tra gli operai dei principali stabilimenti industriali e tra i lavoratori del legno; nella bassa soprattutto tra i braccianti. Nel 1907 esistevano 4 leghe socialiste operanti a Padova, Abano, Anguillara e Solesino.

Alla fine della I guerra mondiale aumentarono i conflitti sociali. Nel Psi si rafforzarono le posizioni favorevoli a seguire l’esempio della vittoriosa rivoluzione sovietica. Nell’estate e nell’autunno del 1920 ci furono scioperi diffusi nelle fabbriche e nelle campagne della bassa.

Il 10 novembre del 1920 a Imola si riunì la frazione comunista per organizzare la scissione dal Psi e la prima raccolta di fondi per il nuovo partito. La lega dei lavoranti in legno di Padova, su proposta di Giuseppe Schiavon, socialista, falegname che era diventato segretario della lega, inviò 200 lire. Da quel momento Schiavon iniziò a preparare la nascita del partito comunista a Padova cercando di convincere i lavoratori più giovani attivi nel sindacato. In questo lavoro venne aiutato da alcuni sindacalisti in provincia, in particolare a Monselice e nella bassa padovana, e da poche persone in città. Il 7 e il 9 dicembre, durante un’assemblea del Psi di Padova, l’ordine del giorno , elaborato dalla frazione comunista, che proponeva “piena e incondizionata osservanza ai deliberati del II congresso della III Internazionale di Mosca” e l’espulsione dei riformisti raccolse 14 voti su 350.

Il 21 gennaio del 1921 a Livorno venne fondato il Partito Comunista d’Italia. Un gruppo di iscritti al Partito socialista aderì ai 21 punti deliberati l’anno precedente dal congresso dell’Internazionale comunista e costituì una nuova forza politica: la sezione italiana della terza Internazionale.

A Padova i riferimenti del nuovo partito furono il capostazione di Monselice Rino Bertelli per la provincia e Giuseppe Schiavon per la città.

Secondo Schiavon i primi militanti erano “tutti con poca cultura ma intrepidi”: ribelli, motivati dalla volontà di lottare contro le ingiustizie sociali e delusi dagli errori e dalle passività del Psi.

Il Pcd’I raccolse i primi aderenti a Padova, in particolare a Voltabarozzo e a Camin, e nelle zone di Pernumia, Solesino, Monselice, Cittadella, Montagnana, Piove di Sacco, Abano Terme, Battaglia Terme, Castelbaldo. Venne fondata l’organizzazione giovanile, Fgci, con un primo gruppo formato da Giulio Contin, Gustavo Levorin, Loenzo Foco, Giovanni Battista Bertoli, Umberto Giacon di Cadoneghe, Giovanni Zerbetto dal 1922.

Dal mese di febbraio le violenze fasciste, appoggiate dalle autorità pubbliche, si estesero e colpirono soprattutto i comunisti. In aprile i fascisti incendiarono la sede della Camera del lavoro e colpirono con spedizioni punitive e aggressioni i capi lega e gli amministratori locali di Abano, Castelbaldo, Masi, Megliadino San Vitale e Tribano.

Tono Zancanaro, 
"La fondazione del Partito, 1921"
litografia a colori, (collez. C.S.E.L.) 

Il 15 maggio del 1921 si svolsero le elezioni politiche in un clima di terrore provocato dalle violenze sistematiche delle squadre fasciste. A Padova il Pcd’I non presentò la lista. Il Psi raccolse il 36,1% dei voti in provincia e il 53,7% in città conquistando la maggioranza assoluta.

Alla fine del 1921 il Pcd’I aveva 136 iscritti in provincia di Padova e 1.151 in Veneto. Per contrastare le aggressioni fasciste i militanti comunisti cercarono di stabilire contatti con gli Arditi del popolo, un’organizzazione formata da ex soldati della I guerra mondiale che riuniva una parte delle forze antifasciste.

Una manifestazione importante di opposizione al fascismo si svolse a Padova il primo maggio del 1922, quando si verificarono duri scontri armati tra fascisti e arditi del popolo appoggiati da iscritti al Pcd’I. Le sparatorie esplosero perché gli arditi si recarono in via Savonarola, all’altezza della targa commemorativa di Ugo Cavestro, ucciso dai fascisti mentre affiggeva un manifesto il 29 aprile 1921. Quando i fascisti cercarono di impedire la manifestazione con la violenza, gli arditi, insieme a militanti comunisti, risposero al fuoco e misero in fuga gli avversari fino all’arrivo della forza pubblica.

Nel 1922 le violenze fasciste si intensificarono e il 28 ottobre, in occasione della marcia su Roma, Padova venne occupata da squadre armate che presidiarono la città e si accamparono presso la sede della Camera del lavoro in Piazza Petrarca. Il fascismo si rafforzò grazie al consenso crescente verso una richiesta di ordine e di stabilità, diffusa in particolare tra i ceti industriali e borghesi urbani e tra i proprietari terrieri, alle violenze diffuse, accompagnate dalla generale impunità e dal sostegno aperto delle autorità governative, alla sostanziale mancanza di opposizione da parte dei socialisti e alla debolezza dei comunisti.

Nei primi mesi del 1923 Bordiga venne arrestato insieme a quasi tutti i membri del comitato centrale comunista, 72 segretari federali e 41 segretari federali giovanili. La repressione colpì gli iscritti al partito che diminuirono costantemente: 42.790 nel 1921, 24.622 nel 1922, 8.698 nel 1923, poco più di 5.000 nel 1924. Il gruppo dirigente comunista scelse la strada della semilegalità per evitare lo scioglimento e continuare l’attività politica in Italia nonostante i divieti.

L’opposizione al fascismo iniziò a manifestarsi con crescente difficoltà e attraverso gesti simbolici che mettevano in grave pericolo gli autori.

Tessera PCd’I 1922 
Anche a Padova il Pcd’I venne travolto dalla repressione fascista. I pochi iscritti, rischiando violenze, licenziamenti e ripercussioni drammatiche per le famiglie, riuscivano con fatica a mantenere i contatti tra loro e a promuovere qualche iniziativa per testimoniare una presenza. I primi gruppi di comunisti padovani sono descritti da Schiavon, di fatto il responsabile della città, come singoli che aderivano al partito per spirito antifascista e sentimenti umanitari e non per difendere gli interessi di classe come gli operai dei grandi stabilimenti delle città industriali. 

La sera del 5 febbraio del 1924 Schiavon venne brutalmente picchiato da diversi fascisti davanti a casa sua a Voltabarozzo. Per aumentare la sicurezza delle riunioni il partito, tramite un prestanome, in febbraio affittò un immobile in via Calatafimi per tenere incontri e per conservare materiale.

Nonostante le difficoltà e le violenze, Schiavon, insieme a Lorenzo Foco, Furio Silvestri e Anacleto Gamba, riuscì a costituire un gruppo di militanti in grado di presentare le liste del partito e di organizzare la propaganda per le elezioni politiche del 6 aprile.

A Padova i risultati furono molto positivi. I comunisti raccolsero il 5,1% dei voti in provincia e il 10,2% in città. La lista nazionale fascista non raggiunse la maggioranza assoluta in provincia (48,8%) e si fermò a un misero 30,7% nel capoluogo. In Veneto il Pcd’I elesse due deputati: Antonio Gramsci e Iginio Borin.

La clandestinità e l’attività contro il fascismo

Il 6 gennaio del 1925 il prefetto di Padova, applicando le disposizioni nazionali, sciolse i partiti antifascisti. Il partito comunista fu l’unica forza a mantenere una presenza organizzata in modo clandestino e a svolgere una significativa attività di opposizione al regime fascista. I principali esponenti degli altri partiti antifascisti emigrarono all’estero da dove, in forme diverse, cercarono di criticare il fascismo.

A Padova furono arrestati o minacciati, intimiditi, controllati al punto da non poter più operare in piena sicurezza, i dirigenti comunisti che si erano esposti nella campagna elettorale del 1924 e il partito venne tenuto in vita da un gruppo ristretto composto da Gildo Valisari, Emilio Sartorati, Luigi Giorio e Alessandro Vittadello, con la collaborazione di Schiavon che era spesso sottoposto ad arresti e fermi. In questo periodo Schiavon introdusse l’abitudine di organizzare pranzi domenicali fuori città per parlare con altri compagni senza destare sospetti. Nella notte del 29 aprile 1925, tre giovani comunisti, Giovanni Zerbetto, Lorenzo Foco e Giovanni Battista Bertoli, sfidarono le autorità fasciste e issarono una bandiera rossa su un traliccio dei fili dell’alta tensione al Portello, luogo di passaggio per centinaia di operai che lavoravano nelle fabbriche della zona della Stanga.

Scioglimento e clandestinità determinarono la distruzione e la perdita della documentazione interna del Pcd’I e quindi per ricostruire natura e caratteristiche del partito padovano bisogna ricorrere al materiale del casellario politico centrale, dove vennero raccolti tutti i dati sugli oppositori al fascismo.

Tessera PCd’I 1923 
A Padova nel casellario politico centrale furono schedate 758 persone, classificate secondo i criteri del regime fascista: 303 comunisti, 195 socialisti, 39 anarchici, 221 antifascisti. 102 persone furono deferite al tribunale speciale: 94 erano comunisti. I 303 comunisti erano così suddivisi in base all’età: 10 nati prima del 1880, 117 tra il 1881 e il 1900, 171 tra il 1901 e il 1920, 3 dopo il 1921.


Tra gli schedati come comunisti 172 abitavano nel comune di Padova, 21 a Cadoneghe, 32 nei comuni della cintura urbana, 8 nella zona nord della provincia, 70 in quella sud: tra questi 9 a Este, 8 a Codevigo, 7 a Monselice, 6 a Piove di Sacco, 6 a Battaglia Terme, e 6 a Montagnana. Tra i residenti a Padova 16 abitavano a Voltabarozzo, 7 a Chiesanuova, 7 a Ponte di Brenta e 6 a Brusegana. Le professioni dei 303 comunisti schedati consentono di ricostruire le caratteristiche sociali del partito: 136 artigiani, in prevalenza falegnami, barbieri, fonditori, elettricisti, fornai, 52 agricoltori, 30 operai (delle aziende con più di 10 addetti), 21 dipendenti generici, 17 commercianti, 11 ferrovieri, 11 impiegati, un solo insegnante e 4 liberi professionisti.

I dati indicano che il partito comunista si era diffuso soprattutto tra artigiani e operai residenti nel comune capoluogo e nei comuni della cintura urbana. Infatti il 73% di tutti gli operai dipendenti della provincia era occupato in imprese con più di 10 addetti e in città si concentrava il 40% degli addetti negli stabilimenti industriali. La presenza nella bassa era spiegata dal ricorso alla conduzione agricola tramite bracciantato e da alcuni insediamenti industriali a Battaglia, Este, Conselve e Pontelongo.

Con il congresso di Lione nel 1926 il Pcd’I pose le basi per impostare una politica che si fondava sulla conciliazione tra classe e nazione, sull’alleanza tra operai e contadini per mutare i caratteri originari dello sviluppo nazionale. Venne elaborata l’idea del partito di tipo nuovo, costruito attorno a quadri dirigenti e aperto alle masse, retto dal centralismo democratico per evitare il frazionismo e le divisioni che avevano indebolito il partito socialista.

Il partito superò la visione estremista e settaria che aveva caratterizzato Bordiga e avanzò una strategia rivoluzionaria basata sugli operai delle industrie del nord e sul proletariato agricolo del sud. I protagonisti della svolta furono Gramsci, Palmiro Togliatti, Mauro Scoccimarro, Camilla Ravera, Umberto Terracini, Ruggero Grieco.

A livello padovano il congresso di Lione venne preceduto dal congresso interregionale delle Tre Venezie che si svolse a Cadoneghe presso l’abitazione della famiglia Benetti nella notte tra il 31 dicembre 1925 e il I° gennaio 1926.

Tessera PCd’I 1924 
Schiavon sostenne con convinzione la linea elaborata a Lione e, insieme a Ettore Bortolami, Virginio e Anselmo Benetti, Gildo Valisari, Virgilio Ferraresso, Attilio Pasquato e i giovani della Fgci, guidati da Giulio Contin, lavorò per mantenere una presenza del partito tra gli operai e i contadini. Dal 1926 al 1929 la polizia fascista arrestò numerosi comunisti padovani che furono condannati ad anni di carcere e confino dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Nel 1927 furono individuati e arrestati 56 dei 250 iscritti alla Fgci di Padova.

Il congresso di Colonia nel 1931 decise di avviare un lavoro di propaganda nelle associazioni fasciste per evitare di restare isolati dalle masse e per sviluppare la critica e la lotta all’interno del regime. In questo periodo l’attività clandestina del partito fu caratterizzata da volantinaggi, diffusione di opuscoli, riunioni per cercare di mantenere contatti tra gli iscritti. La repressione del regime fu durissima e i principali esponenti comunisti furono arrestati e controllati in modo ossessivo anche dopo avere scontato le pene.

La struttura clandestina riuscì a sopravvivere grazia all’azione di un ristretto nucleo di dirigenti coraggiosi e determinati: Giuseppe Schiavon, i fratelli Benetti, Ettore Bortolami, Sebastiano Bertocco, Antonio Calore, Antonio Camporese, Giulio Contin, Guido Farisato, Virgilio Ferraresso, Lorenzo Foco, Luigi Giorio, Gustavo Levorin, Mario Moressi, Antonio Nicolé, Bruno Padoan, Attilio Pasquato, Emilio Sartorati, i fratelli Savoldo, Luigi Scarmignan, Gino Sgarabottolo, Gildo Valisari, Alessandro Vittadello, Urbano e Romeo Zanella, Giovanni Zerbetto.

La svolta dei fronti popolari

Nel 1935 Togliatti tenne un “Corso sugli avversari” alla sezione italiana della Scuola leninista di Mosca, una sorta di università per i comunisti stranieri. Il Corso, noto anche come lezioni sul fascismo, in sintonia con la strategia dei fronti popolari dell’Internazionale comunista, avviò la riflessione per avvicinare i giovani cresciuti sotto il regime ed elaborò la proposta di democrazia progressiva per introdurre elementi di socialismo in una società democratica. Dall’analisi di Togliatti sulla natura del fascismo e sulle caratteristiche della società italiana venne elaborata la strategia di portare l’attività del partito comunista all’interno delle organizzazioni fasciste.

Tessera PCd’I 1925 
Le lezioni influenzarono la politica del Comintern che avanzò la proposta di costituire fronti popolari unendo i partiti comunisti, socialisti e democratici per contrastare l’avanzata del fascismo in Europa e costituirono la premessa per la nuova politica del Pcd’I. Nell’estate del 1935 ci fu il VII congresso del Comintern e iniziò la ricerca di un terreno di intesa comune con altri partiti antifascisti. 

A Padova la nuova strategia di Togliatti consentì al Partito, grazie soprattutto all’iniziativa di Leone Turra e di Eugenio Curiel, di allacciare rapporti con giovani studenti e professori universitari: Stefano Velo, Ettore Luccini, Atto Braun, Tono Zancanaro, Guido Goldschmied, Renato Mieli, Ettore Pancini, Concetto Marchesi. 

Curiel, unico a Padova ad avere contatti con la direzione nazionale, in particolare con Ambrogio Donini, Emilio Sereni e Ruggero Grieco, si fece affidare la redazione della pagina sindacale de “Il Bo”, il giornale universitario, e dall’agosto del 1937 all’agosto del 1938 scrisse 53 articoli.

Curiel e Luccini parteciparono ai Littoriali con l’obiettivo di entrare in contatto con le organizzazioni fasciste per fare emergere le contraddizioni interne al regime. Nel novembre del 1938 Curiel, ebreo, venne colpito dalle leggi razziali e fu espulso dall’insegnamento universitario e in seguito fu arrestato e deportato al confino. Dopo l’8 settembre partecipò alla Resistenza come dirigente del Fronte della gioventù e fu assassinato a Milano dai nazifascisti nel febbraio del 1945.

Nel 1936 arrivò nel carcere di Padova il detenuto Aronne Molinari. Egli era stato un militante degli Arditi del popolo e del partito comunista di Parma, partecipando alle giornate dell’agosto del 1922 quando antifascisti armati impedirono ai fascisti di saccheggiare la città. Molinari, condannato a 6 anni e 6 mesi di carcere nel 1934, scontò l’ultima parte della pena a Padova e qui entrò in relazione con la locale struttura del partito tramite Giovanni Zerbetto che in qualità di elettricista lavorava nelle strutture carcerarie.

La nuova linea dei fronti popolari elaborata dall’Internazionale comunista e la strategia di apertura e confronto con i giovani critici verso il regime trovarono un banco di prova importantissimo in Spagna. Infatti la lotta contro il fascismo cambiò caratteristiche con lo scoppio della guerra civile spagnola.

Numerosi comunisti padovani combatterono in Spagna con le brigate internazionali contro il fascismo, tra questi Angelo Menegazzo, fondatore del partito e morto in combattimento, Gildo Belfiore, Luciano Penello, commissario politico e ferito più volte, Beniamino Rossetto, Manlio Silvestri, ferito in battaglia. Virginio Benetti e Giulio Contin cercarono di raggiungere le brigate internazionali ma furono arrestati in Francia perché la guerra era finita.

Nel 1938 il partito di Padova si organizzò attorno a un gruppo dirigente stabile, chiamato troika, formato da Lorenzo Foco, Anselmo Benetti e Gustavo Levorin.

T. Zancanaro,
"Veniamo da lontano. Andiamo lontano",
 litografia a colori, (collez. C.S.E.L.) 
Nel maggio del 1943 venne sciolta la Terza Internazionale e il Pcd’I cambiò nome in Partito Comunista Italiano, non più sezione dell’Internazionale.

Nei mesi successivi, con il crollo del regime fascista e l’inizio del governo guidato da Pietro Badoglio, il Pci riuscì a mobilitare tra il 25 luglio e l’8 settembre i circa 7 mila iscritti che tornarono in azione dopo anni di carcere, esilio e confino. Questi militanti avevano caratteristiche che li resero in grado di organizzare la Resistenza contro fascisti e tedeschi: conoscenze di tecniche militari apprese nell’emigrazione o durante la guerra civile spagnola; fedeltà assoluta verso il partito; diffidenza per spontaneismo e improvvisazione; abilità nell’attività clandestina; legame solido con l’Urss. Il Pci inquadrò circa 100 mila partigiani dando un contributo fondamentale alla Resistenza.

A Padova il Pci iniziò a organizzare le prime formazioni armate nell’agosto del 1943 raccogliendo armi, esplosivi, munizioni, materiale militare, ricostruendo contatti logistici e operativi, reclutando persone disponibili a combattere contro i fascisti e i nazisti.

Il lavoro del partito produsse i primi effetti a Padova dopo la caduta del regime e l’arresto di Mussolini. Il 26 luglio del 1943 ci fu una manifestazione contro il fascismo e per la libertà. Subito dopo vennero arrestati diversi giovani comunisti che avevano promosso la mobilitazione antifascista: Giovanni Nalesso, Ettore e Vladimiro Bertocco, Gastone Passi, Loris Gritti, Dario Resini e Cesare Milani. Questo gruppo di ragazzi, che indica una presenza abbastanza significativa del partito, venne detenuto al carcere di via Paolotti, poi fu portato a Trieste, dove il 10 settembre fu liberato da un gruppo di partigiani locali prima dell’arrivo dei tedeschi.

Lorenzo Foco venne inviato in Alto Adige per costruire i primi nuclei partigiani e venne sostituito da Leone Turra alla guida del partito padovano. Ai militanti più anziani, come Schiavon, Zerbetto, i fratelli Benetti, Levorin, Aronne Molinari, si unirono i reduci della guerra civile spagnola, alcuni giovani studenti, come Franco Busetto, Andrea Redetti, Gastone Passi, e il gruppo di docenti universitari cresciuto con Curiel e Marchesi. 

Numerosi comunisti padovani combatterono in Spagna con le brigate internazionali contro il fascismo, tra questi Angelo Menegazzo, fondatore del partito e morto in combattimento, Gildo Belfiore, Luciano Penello, commissario politico e ferito più volte, Beniamino Rossetto, Manlio Silvestri, ferito in battaglia. Virginio Benetti e Giulio Contin cercarono di raggiungere le brigate internazionali ma furono arrestati in Francia perché la guerra era finita.

Nel 1938 il partito di Padova si organizzò attorno a un gruppo dirigente stabile, chiamato troika, formato da Lorenzo Foco, Anselmo Benetti e Gustavo Levorin.

Nel maggio del 1943 venne sciolta la Terza Internazionale e il Pcd’I cambiò nome in Partito Comunista Italiano, non più sezione dell’Internazionale.

Nei mesi successivi, con il crollo del regime fascista e l’inizio del governo guidato da Pietro Badoglio, il Pci riuscì a mobilitare tra il 25 luglio e l’8 settembre i circa 7 mila iscritti che tornarono in azione dopo anni di carcere, esilio e confino. Questi militanti avevano caratteristiche che li resero in grado di organizzare la Resistenza contro fascisti e tedeschi: conoscenze di tecniche militari apprese nell’emigrazione o durante la guerra civile spagnola; fedeltà assoluta verso il partito; diffidenza per spontaneismo e improvvisazione; abilità nell’attività clandestina; legame solido con l’Urss. Il Pci inquadrò circa 100 mila partigiani dando un contributo fondamentale alla Resistenza.

A Padova il Pci iniziò a organizzare le prime formazioni armate nell’agosto del 1943 raccogliendo armi, esplosivi, munizioni, materiale militare, ricostruendo contatti logistici e operativi, reclutando persone disponibili a combattere contro i fascisti e i nazisti.

Il lavoro del partito produsse i primi effetti a Padova dopo la caduta del regime e l’arresto di Mussolini. Il 26 luglio del 1943 ci fu una manifestazione contro il fascismo e per la libertà. Subito dopo vennero arrestati diversi giovani comunisti che avevano promosso la mobilitazione antifascista: Giovanni Nalesso, Ettore e Vladimiro Bertocco, Gastone Passi, Loris Gritti, Dario Resini e Cesare Milani. Questo gruppo di ragazzi, che indica una presenza abbastanza significativa del partito, venne detenuto al carcere di via Paolotti, poi fu portato a Trieste, dove il 10 settembre fu liberato da un gruppo di partigiani locali prima dell’arrivo dei tedeschi.

Lorenzo Foco venne inviato in Alto Adige per costruire i primi nuclei partigiani e venne sostituito da Leone Turra alla guida del partito padovano. Ai militanti più anziani, come Schiavon, Zerbetto, i fratelli Benetti, Levorin, Aronne Molinari, si unirono i reduci della guerra civile spagnola, alcuni giovani studenti, come Franco Busetto, Andrea Redetti, Gastone Passi, e il gruppo di docenti universitari cresciuto con Curiel e Marchesi.

 ( Testo di A. Nacccarato)


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