1945-1970: Dal dopoguerra alle mobilitazioni operaie e giovanili

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Speranze e illusioni

Tessera Pci 1945 
Il Pci in pochi mesi si trasformò da piccolo partito di rivoluzionari di professione che preparava la presa del potere a un grande partito di massa che accettava le libertà formali e il parlamentarismo per costruire un passaggio graduale e progressivo verso il socialismo. Nel gennaio 1946 il V congresso cambiò lo statuto del partito prevedendo che per iscriversi non serviva più la professione di fede marxista.

Dopo la Liberazione furono nominati diversi sindaci del Pci: Schiavon a Padova, Rosario Scianna ad Abano Terme, Riccardo Pistore a Battaglia Terme. Romeo Zanella a Cadoneghe, Giuseppe Doralice a Castelbaldo, Primo Mori a Montegrotto Terme, Antonio Moretto a Noventa Padovana.

La prima sede della federazione provinciale comunista venne collocata in via Santa Chiara, vicino all’istituto Calvi; nei mesi successivi venne spostata in via Umberto I.

Il segretario Gombi venne inviato in Emilia Romagna e fu sostituito da Amerigo Clocchiatti, dirigente partigiano nel bellunese e in Lombardia.

Tessera Pci 1970    
Ai primi di novembre del 1945 si svolse il IV congresso provinciale del Pci, il primo dopo la Liberazione, che venne aperto da un intervento di 10 ore di Emilio Sereni. Al termine Clocchiatti venne confermato segretario e fu eletta una segreteria composta da: Luciano Penello, Furio Da Re, Franco Busetto, Mario Marotto, Costante Guzzon, Clarissa Torelli, Gastone Passi e Luigi Marcon.

A Padova dopo la Liberazione la spinta unitaria si affievolì e il Pci tornò a una chiusura settaria e autoreferenziale, causata soprattutto dalla situazione generale di isolamento e di ostilità provocata dall’atteggiamento della Dc e delle gerarchie ecclesiastiche. La segreteria di Amerigo Clocchiatti non fu in grado di raccogliere le energie emerse durante la Resistenza e mostrò i limiti di un’impostazione condizionata dai comportamenti e dalle pratiche diffuse durante la clandestinità e inadeguate alla nascente democrazia. Il partito di massa proposto da Togliatti non si realizzò ed emersero divisioni e scontri nel gruppo dirigente anche nella scelta degli assetti istituzionali e interni. 

Il 24 marzo del 1946 ci furono le prime elezioni amministrative e le sinistre vinsero in 31 comuni, tutti concentrati nella zona a sud della provincia, con l’eccezione di Abano Terme, Cadoneghe, Montegrotto, Noventa e Padova, dove il socialista Gastone Costa sostituì Schiavon come sindaco. In città la Dc fu il primo partito con 31.964 voti, seguita dal Pci con 19.605 e dal Psi con 14.558. Le sinistre conquistarono la maggioranza relativa e diedero vita a una giunta unitaria con le altre forze antifasciste.

Gianni Longinotti, "Le lavoratrici",
carboncino (collez. privata)
Le difficoltà del partito comunista e della sinistra erano determinate da fattori sociali e culturali: dall’assenza di un forte proletariato industriale, dall’assoluta prevalenza dell’economia contadina, dallo spirito tradizionalista delle popolazioni contadine succubi del clero, dal monopolio della stampa conservatrice nella formazione dell’opinione pubblica. Inoltre la base operaia e contadina del Pci e i quadri intermedi non erano convinti della strategia della via democratica e dello strumento del partito nuovo perché continuavano a pensare alla rivoluzione, rendendo molto problematico il rapporto del partito con i ceti medi, gli intellettuali e le donne.

Il risultato disastroso del referendum istituzionale del 2 giugno del 1946, con la netta vittoria della monarchia, mise in luce questi difetti. Le uniche province dell’Italia settentrionale dove la monarchia superò la repubblica furono Padova, Asti, Bergamo e Cuneo.


Per l’Assemblea costituente la Dc vinse con la maggioranza assoluta e raccolse il 55,7%; il Pci arrivò soltanto terzo arretrando rispetto alle amministrative al 12,9%.


Carraro, "Manifestazione",  litografia
La vittoria della Dc fu determinata da: la sintonia della Dc con il mondo cattolico, con gli imprenditori e gli industriali, con i piccoli proprietari terrieri, con il ceto medio impiegatizio e con i reduci della guerra; il sostegno delle gerarchie ecclesiastiche e dell’associazionismo cattolico alla Dc; l’anticomunismo radicato in profondità durante il regime fascista; la superficialità del programma socialcomunista; la violenza della guerra partigiana.

A fine luglio Clocchiatti venne sostituto per un breve periodo da Lampredi che costruì le condizioni per nominare, a fine dicembre, segretario provinciale Giuseppe Gaddi. Il ricambio non riuscì a risolvere la situazione e la federazione rimase ferma a una concezione del partito di quadri, nucleo di acciaio con il compito di promuovere la rivoluzione, incapace di stabilire relazioni e alleanze con settori sociali.

Nel maggio del 1947, dopo una lunga crisi, comunisti e socialisti furono esclusi dal governo nazionale. A Padova poche settimane prima i socialdemocratici avevano sfiduciato il sindaco socialista Costa e al suo posto venne eletto il democristiano Cesare Crescente, che inaugurò la lunga stagione del centrismo e dell’egemonia Dc.

Nell’estate del 1947 le lotte dei braccianti agricoli, dopo avere migliorato la meanda, il contratto che consentiva al lavoratore stagionale il minimo vitale per sopravvivere in inverno, raggiunsero l’importante obiettivo dell’imponibile di manodopera che stabilì il principio della massima occupazione in agricoltura. Il Pci sostenne con forza le rivendicazioni dei braccianti che erano ostacolati in tutti i modi dai proprietari terrieri. Gli agrari spesso utilizzarono squadre armate per colpire i braccianti e furono appoggiati dalla Dc e dai piccoli imprenditori agricoli che temevano un ritorno alla situazione degli anni ’20.

Nel luglio del 1947, in occasione del V congresso provinciale, Togliatti denunciò i limiti della federazione padovana e criticò pesantemente il lavoro del partito, dove c’era una situazione “molto cattiva”, caratterizzata da una “deficienza essenziale”: lo “scarso lavoro politico e (…) la scarsa attività fra le masse”.

Alberto Gianquinto, "Il Paniere",
olio su tela (collez. privata)
Alla fine del 1947 gli iscritti al Pci di Padova erano 21.153 così divisi per professione: 9.462 operai, 4.243 braccianti, 3.447 piccoli proprietari, 2.564 casalinghe, 689 commercianti, 437 impiegati, 252 artigiani, 35 insegnanti, 24 intellettuali. 6.000 iscritti avevano meno di 25 anni e 5.300 tra i 25 e i 35 anni. A fine anno la federazione del Pci venne trasferita in via Dante. 

La sconfitta del 1948 e l’anticomunismo

Nelle elezioni politiche del 18 aprile 1948 il Fronte popolare, formato da Pci e Psi, fu nettamente sconfitto dalla Dc. A Padova il Fronte si fermò al 21,9% e la Dc raggiunse il 65,5%. In molti comuni dell’Alta padovana la Dc superò l’85% e il Fronte al 4-5%. Per i comunisti la sconfitta fu un trauma che aumentò settarismo e isolamento.

Il 14 luglio del 1948 a Roma, all’uscita dalla Camera dei deputati, Togliatti venne colpito da un attentato. Appena si diffuse la notizia a Padova, come in molte altre città, ci furono manifestazioni di protesta e venne indetto lo sciopero generale. Il giorno dopo Padova e i centri maggiori della provincia furono paralizzati dallo sciopero, molte fabbriche furono occupate dagli operai, ci furono blocchi stradali, vennero assaltate e danneggiate le sedi dei giornali di destra e del partito liberale.

Dopo la sconfitta elettorale e l’attentato a Togliatti il Pci attivò una mobilitazione costante e capillare, ottimizzando le doti operative dei quadri formati nella clandestinità e nella Resistenza e organizzò masse di operai e contadini che volevano cambiare gli assetti sociali. Questa strategia determinò la crescita del partito in alcune aree del Paese, come Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Liguria.

In Veneto e a Padova il Pci restò isolato e non riuscì a diventare un partito di massa. La rappresentanza sociale era limitata agli operai delle aziende più grandi e ai braccianti agricoli dei latifondi presenti nella zona meridionale della regione.

Punti di forza dell’organizzazione comunista furono l’unità e la compattezza interna, costruite attraverso il metodo del centralismo democratico, un processo decisionale dall’alto verso il basso: ogni iscritto poteva discutere ed esprimere l’eventuale dissenso solo negli organismi di partito, poi si doveva adeguare alle decisioni ufficiali degli organismi dirigenti. Tale metodo fu rafforzato dall’autorevolezza di gruppi dirigenti che si erano formati nella lotta clandestina al fascismo e nella guerra partigiana.

A Padova l’isolamento e il settarismo del partito provocarono divisioni e scontri nei gruppi dirigenti, in particolare tra i quadri più giovani, vicini al segretario Gaddi, e i vecchi militanti del periodo clandestino e della Resistenza. Diversi dirigenti furono emarginati ed espulsi dal partito. Intanto venne rifondata la Federazione giovanile attorno alla figura di Cesare Milani. Egli riuscì a coinvolgere un gruppo di giovani operai e artigiani molto motivati che risultarono determinanti per rilanciare le attività del partito in città e in provincia.

Nel novembre del 1951 Franco Busetto venne eletto segretario provinciale e cercò di completare il rinnovamento dei gruppi dirigenti e di far uscire il partito dall’isolamento aprendolo alla società.

Nel 1953 la nuova segreteria, composta da Busetto, Camuffo, Tognon, Cesare Milani, Benetti e Alberto Cassol, si impegnò a fondo nella battaglia contro la “legge truffa”. La Dc vinse le elezioni ma non superò il 50% dei voti e così non ottenne il 65% dei seggi.

Nel marzo del 1954 si svolse l’VIII congresso provinciale e ci fu un cambiamento significativo dei gruppi dirigenti con l’ingresso nel comitato federale di giovani quadri operai, come Bruno Bertin di Battaglia Terme, Nicola Migliorini di Cadoneghe, Mario Zaggia di Padova, e giovani quadri contadini, come Ennio Caccin di Villanova di Camposampiero, Bruno Lazzarin di Bagnoli, e il rinnovamento della segreteria con l’ingresso di Emilio Pegoraro, Paolo Pannocchia e Lidia Scanferla.

Renato Guttuso, "il 1° maggio", disegno, (collez. privata)
Nel gennaio del 1955 si concluse con la sentenza di assoluzione il processo contro l’Associazione Pionieri d’Italia e il Pci di Pozzonovo. La vicenda costituì un esempio dell’odio anticomunista costruito e alimentato dalla Chiesa cattolica e dalla Dc e segnò un punto di svolta nei rapporti tra mondo cattolico e Pci a Padova.

Il vescovo Bortignon e il parroco di Pozzonovo accusarono i comunisti di insegnare ai bambini a bestemmiare, a odiare la religione, ad avere rapporti sessuali nella sede della sezione del Pci. Il conseguente processo penale diventò un caso di rilevo nazionale che vide coinvolti come testimoni Concetto Marchesi e Umberto Terracini. Le accuse risultarono infondate e l’anticomunismo viscerale di una parte del mondo cattolico e della Dc subirono una battuta d’arresto.

Nell’ottobre del 1955 si svolse il I convegno provinciale delle donne comuniste padovane con 100 delegate. Luciana Zerbetto, responsabile femminile, nella relazione descrisse la situazione di 4 mila donne iscritte al Pci e mille ragazze iscritte alla Fgci e spiegò l’importanza del lavoro delle donne per cambiare la società.

Nel 1956 il XX congresso del Pcus, le accuse contro Stalin e la sua gestione del potere e l’invasione sovietica dell’Ungheria fecero esplodere la crisi del movimento comunista: in un anno il Pci perse il 10% degli iscritti, e la Fgci addirittura il 30%. L’VIII congresso nazionale reagì alla crisi con un forte ricambio dei gruppi dirigenti e il rafforzamento della linea della via italiana al socialismo. I nuovi entrati nel comitato centrale furono il 56,4%. Si affermarono la difesa della Costituzione, il pluripartitismo, il rifiuto della rottura rivoluzionaria, il mantenimento di forme di proprietà privata, le vie nazionali al socialismo, il policentrismo. Questa impostazione fu ribadita da Togliatti nel Memoriale di Yalta, il suo testamento politico, pubblicato dopo la morte nel 1964.

A Padova l’VIII congresso nazionale, preparato dal IX congresso provinciale, non produsse cambiamenti nei gruppi dirigenti: il comitato federale venne ridotto da 68 a 40 membri e non ci furono nuovi ingressi.

Gianni Longinotti, "La fabbrica",
monotipo (collez. privata)
A livello nazionale e a Padova dal 1955 al 1967 ci fu una lenta e costante diminuzione degli iscritti determinata da diversi fattori: stanchezza e delusione per i mancati risultati politici, repressione e discriminazione anticomunista nei luoghi di lavoro e negli ambienti religiosi, difficoltà e crisi politica e ideologica dopo il XX congresso del Pcus, l’invasione sovietica dell’Ungheria e l’avvio della destalinizzazione.  

Nell’estate del 1957 ci furono due importanti vertenze sindacali contro piani di licenziamento degli operai comunisti. Alla Stanga, dopo 37 giorni di sciopero, gli operai raggiunsero l’obiettivo di concordare con l’azienda la scelta delle persone licenziate e ottennero indennità molto elevate. Al contrario alla Breda di Cadoneghe, dopo uno sciopero di un mese e mezzo, la requisizione della fabbrica da parte del comune, l’annullamento prefettizio di tale provvedimento e l’intervento violento della polizia per sgomberare lo stabilimento, gli operai vennero sconfitti e i dirigenti sindacali vennero licenziati.

Nel 1958 il Pci di Padova costituì una società per azioni, la Saiv, per assicurare autonomia finanziaria e maggiori opportunità economiche alla federazione. In pochi anni, grazie alla gestione di Milani, con la collaborazione di Antonio Tognon, Albano Boldrin, Alessandro Vittadello, Dino Beghin, Erminio Loreggian, la società diventò una delle principali fonti di sostegno per le attività politiche del partito.

 

Estremismo e massimalismo

Nel 1958 Busetto venne eletto deputato e fu sostituito alla guida della federazione da Pietro Cortellazzo. Il nuovo segretario, legato alle logiche sindacali e a un’impostazione massimalista, promosse quadri contrari alla linea nazionale del partito e chiuse il circolo culturale il Pozzetto, esperienza originale, nata con il contributo decisivo di Ettore Luccini con l’obiettivo di estendere l’azione del partito tra gli intellettuali e nel mondo della scuola e dell’università.

Nei congressi provinciali del 1959 e del 1960 Cortellazzo modificò i gruppi dirigenti e l’impostazione politica della federazione. Furono accentuate le posizioni estremiste e settarie presenti in alcuni settori del sindacato e in ristretti ambienti intellettuali ostili alla linea della democrazia progressiva elaborata da Togliatti.

Nel 1962, in occasione del dibattito sulle tesi per il X congresso nazionale, il segretario favorì le accuse di revisionismo contro Togliatti, che si raccolsero attorno alla pubblicazione Viva il leninismo, e le divisioni interne che paralizzarono per anni la federazione.

Armando Pizzinato, "Lavoratore",
olio su tela (collez. privata)
Il deciso intervento della segreteria nazionale rovesciò la situazione: il gruppo dirigente della federazione venne messo in discussione e profondamente rinnovato; furono espulsi i promotori del documento estremista; Cortellazzo venne sostituito da Paolo Pannocchia. 

Negli anni successivi il nuovo segretario contribuì a formare un gruppo dirigente omogeneo e determinato ad aprire il partito e a costruire alleanze e rapporti con l’esterno.  La federazione venne riorganizzata con l’attività di compagni autorevoli come Cassol, nel frattempo diventato professore universitario, Antonio Papalia, Rosetta Molinari, Luciana Zerbetto, Mario Zaggia, Emilio Pegoraro, Giovanni Menon, Dino Beghin, Milani.

Il 28 febbraio del 1965, per il ventennale dell’assassinio di Curiel, a Padova il Pci organizzò una imponente manifestazione nazionale con il segretario Luigi Longo.

Nel novembre del 1967, in occasione del 60° anniversario della rivoluzione d’ottobre, venne inaugurata la nuova sede provinciale di via Beato Pellegrino.

 

Le mobilitazioni operaie e studentesche e la ricostruzione del gruppo dirigente

A livello nazionale e locale la fase discendente del Pci si fermò nel 1968, quando, sull’onda della mobilitazione operaia e studentesca, il partito iniziò una rapida ascesa elettorale, andando al governo di moltissimi comuni, province e regioni tra il 1970 e il 1975, e raccogliendo nelle elezioni politiche del 1976 12.614.650 voti, pari al 34,4%, che rappresentò il massimo risultato ottenuto nella sua storia. Le rivendicazioni degli operai delle generazioni più giovani, organizzate e sostenute dal sindacato e dal Pci, conquistarono nel 1970 lo Statuto dei lavoratori, aumenti salariali e nuovi diritti nelle fabbriche. L’ingresso di una nuova generazione di militanti e i successi elettorali determinarono un cambiamento profondo nella composizione sociale e nella cultura politica comunista.

Alla fine degli anni ’60 iniziò a manifestarsi anche a Padova la strategia eversiva dell’estrema destra neofascista, particolarmente radicata in città e in Veneto. Dopo diversi attentati contro il questore, il tribunale e il rettorato, il 15 aprile 1969 si svolse a Padova la riunione segreta che diede il via all’offensiva terroristica sfociata nella strage di Piazza Fontana a Milano.

Alla fine del 1966 anche a Padova, come nel resto del Paese, si svilupparono movimenti politici che mobilitarono numerosi giovani sui temi della pace, dell’università e della scuola. Nel 1967 ci furono diversi scioperi nelle scuole e aumentò il ruolo della Fgci. Nel dicembre del 1967 in diverse università italiane si estese la protesta contro la proposta di legge di riforma presentata dal ministro padovano della pubblica istruzione Luigi Gui. All’inizio del mese a Padova vennero occupate le facoltà universitarie di Fisica, Lettere e filosofia, Magistero e Scienze politiche. Le occupazioni proseguirono per larga parte del 1968.

Nel gennaio del 1969 il congresso provinciale evidenziò il ruolo della nuova generazione che stava promuovendo una stagione di lotte e rivendicazioni sociali e modificò i gruppi dirigenti con l’ingresso di giovani operai e studenti come Elio Armano, Eugenio Girardi, Franco Longo, Lino Zancanaro. Antonio Papalia venne eletto segretario al posto di Pannocchia.

Bandiera sezione Torre, anni '40, (collez. privata)

Nel 1970 nacquero le Regioni e si votò per il Consiglio regionale. Nella lista comunista a Padova furono eletti Fulvio Palopoli e Rosetta Molinari, prima donna a diventare consigliera regionale in Veneto, che interpretò il ruolo crescente assunto dal movimento femminile nelle mobilitazioni sociali.

In questo periodo il Pci, grazie soprattutto all’attività di Armano, Longo e Girardi, ricostruì una presenza nelle principali fabbriche della provincia, e organizzò importanti iniziative contro l’imperialismo americano in Vietnam, in Cile e nei paesi africani e del centro America, mobilitando molti giovani lavoratori e studenti. Il partito aprì un dialogo costante con il mondo cattolico, uscendo dall’isolamento precedente, e aumentando il numero di iscritti e di voti. Anche la Fgci registrò una crescita consistente di adesioni coinvolgendo molte ragazze e ragazzi.

In provincia di Padova dal 1970 al 1972 le feste de l’Unità passarono da 36 a 63 e le sedi di proprietà del Pci aumentarono da 33 a 46.

 (Testi di A. Naccarato)

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