Luccini e il circolo culturale "Il Pozzetto"

 

Pubblichiamo qui due interventi sul circolo culturale "Il Pozzetto", fondato da un gruppo di intellettuali e artisti padovani guidati da Ettore Luccini.

Il primo testo è tratto da vol. di A. Naccarato ("Conquistare la libertà, difendere la democrazia. Il Pci di Padova 1921-1991") e ricostruisce il clima politico culturale nel quale nacque e si sviluppò la breve esperienza del Pozzetto.  Il secondo testo è l'estratto di una conferenza tenuta dal critico d'arte Massimiliano Sabbion, e si concentra specificatamente sul ruolo che Il Pozzetto svolse nell'ambito della promozione artistica.

Entrambi i contributi mettono bene in luce le caratteristiche, le aspirazioni e gli importanti risultati raggiunti da quell'esperienza, sostenuta dal Pci di Padova , unitamente alle difficoltà  e ai limiti imposti dal clima politico che ne segnarono la conclusione.

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"IL POZZETTO" (testo tratto da  A. Naccarato, Conquistare la democrazia, difendere la libertà, Il Poligrafo, Padova, 2020)

Il circolo culturale il Pozzetto fu fondato dalla federazione provinciale del Pci di Padova nel 1956. L’idea era nata nel 1955 per avvicinare giovani e intellettuali non comunisti ma aperti al confronto e al dialogo, ed era stata fortemente sostenuta dal segretario Franco Busetto. Il partito, attraverso il circolo, si proponeva di rompere l’isolamento anticomunista attraverso la promozione di iniziative culturali aperte. La questione venne a lungo discussa per iniziativa di Attilio Zadro con un gruppo formato da Ettore Luccini, Alberto Cassol, Tono Zancanaro. Quando il gruppo formulò la proposta di dar vita a un vero circolo culturale autonomo Busetto accettò e Luccini venne incaricato di realizzare l’iniziativa. Il circolo aprì il 20 ottobre 1956 in via Nazario Sauro, già via del Pozzetto, e la sua prima iniziativa fu una mostra di Zancanaro. 
Il circolo aveva l’obiettivo di stimolare e promuovere una cultura moderna, aperta alle tendenze internazionali, critica, attenta alle scoperte scientifiche. Secondo Zancanaro il circolo fu un’idea di Luccini, condivisa con alcuni militanti del Pci e appoggiata dall’allora segretario provinciale Franco Busetto e dal partito nazionale: “Per tanti il Pozzetto era una finestra spalancata su un orizzonte culturale che abbracciava tutto il mondo. Il partito da Roma lo appoggiava, mandava una somma mensile per l’affitto”. Secondo Busetto: “Si trattava di rompere quella opaca immobilità in cui giaceva Padova, stretta tra l’anticomunismo viscerale e l’arroccamento in cui si chiudeva la sinistra; occorreva avviare il superamento di quella spaccatura, liberare nuove energie creative, sprovincializzare l’ambiente culturale, offrire spazi nuovi alle esperienze artistiche, letterarie, pedagogiche provenienti dai gruppi più impegnati nelle innovazioni”. Per Luccini il circolo si proponeva “di stabilire un confronto tra tutti quelli che erano simpatizzanti del marxismo e di far sentire che il Partito era il promotore della cultura nascente, della cultura viva sia in Italia sia fuori di Italia”. L’intento fondamentale era “operare insieme, partito comunista e questi indipendenti sinceramente di sinistra che erano più che compagni di strada perché lavoravano, perché ci hanno rimesso i loro quattrinetti e poi tra i giovani professionisti erano senza dubbio i migliori di Padova” .
Il Pozzetto nacque come luogo di ricerca di una nuova politica culturale del partito, come terreno di confronto tra diverse correnti del pensiero, uno strumento avanzato e di sperimentazione di nuove idee, nuovi prodotti culturali nella pittura, musica, letteratura, ricerca storica e scientifica. 
Convegno con Luccini, Cortellazzo,
Busetto, Coccoli, Milani, anni ’50

Il tentativo si scontrò con una visione settaria e di chiusura presente nel partito padovano che accusò il circolo di rivolgersi poco al proletariato e di essere influenzato dalla cultura borghese. 
Il 27 maggio e il 3 giugno del 1957, il comitato federale discusse della situazione del circolo culturale. Il lavoro di Luccini venne criticato da Vincenzo Calò, Emilio Rosini e Giorgio Tosi che accusarono il circolo di elitarismo e di essere in contrasto con i principi del marxismo-leninismo. Emerse una parte del Pci arretrata sul piano culturale, chiusa in un settarismo estremista e autoreferenziale, formata da quadri laureati, inchiodati a una visione dogmatica del marxismo, ancorata soltanto alla teoria e priva di riscontri nella realtà quotidiana, estranei alla società padovana, invidiosi del lavoro di Luccini e del ruolo che Busetto gli aveva affidato. Luccini, inizialmente incredulo, commentò con ironia: “Calò credeva che Padova fosse Cuba” e, al termine della riunione si dimise dall’incarico di responsabile culturale della federazione. Luccini era accusato di essere troppo indipendente perché aveva promosso iniziative aperte anche a intellettuali non comunisti e di non coinvolgere il partito nelle attività del circolo . 
Mario Alicata, della direzione nazionale del Pci e delegato alle questioni culturali, intervenne per sostenere Luccini e la scelta dei circoli, come luoghi di promozione e confronto ideale e politico, ma questo fatto attirò ulteriori gelosie e critiche verso l’esperienza del circolo.
L’elezione di Busetto a deputato nel maggio del 1958 e la sua sostituzione alla guida del partito con Pietro Cortellazzo privarono il Pozzetto del sostegno originale e Luccini venne lasciato solo.
Nel comitato federale del 12 dicembre del 1958, di fronte alle pesanti critiche del solito gruppo, Luccini si dimise dal circolo, che venne prima abbandonato e poi chiuso nel 1960.
Anni dopo Busetto ricordò la fine del circolo con poche frasi: “Chiusure settarie e avvilenti manifestazioni di ambizioni sbagliate, ammantate dalle cosiddette esigenze del “fronte ideologico e culturale”, ebbero il sopravvento” .
La chiusura del circolo il Pozzetto e la successiva deriva estremista del gruppo dirigente della federazione dimostrarono che la segreteria di Busetto era stata una parentesi, l’ennesimo tentativo fallito di costruire a Padova il partito nuovo elaborato da Togliatti. 
Cortellazzo, appena eletto segretario, scelse nuovi dirigenti con un’impostazione politica differente rispetto alla strategia del partito nazionale. In particolare vennero accentuate le posizioni estremiste, presenti in alcuni settori del sindacato e tra ristretti ambienti intellettuali, insofferenti alla linea della democrazia progressiva elaborata da Togliatti. La segreteria di Cortellazzo si caratterizzò per un’impostazione settaria, di chiusura verso il mondo cattolico e verso le esperienze innovative sul piano culturale, come dimostrò la vicenda del circolo il Pozzetto. 
(Alessandro Naccarato)


IL CANACOLO DEL POZZETTO (testo di Massimiliano Sabbion)

Ettore Luccini, nato a Genova nel 1910, nei primi anni ’40 si trasferisce a Treviso, più vicino agli ambienti del Partito Comunista Italiano e della Resistenza. A Treviso fonda un circolo che chiama “Italia-Urss”, luogo di incontro di giovani intellettuali e artisti trevigiani, dove si tengono dibattiti, piccole esposizioni d’arte, tra i più noti partecipanti si ricordano Giovanni Comisso e Andrea Zanzotto: in pratica l’embrione di quello che sarà il circolo del Pozzetto a Padova.
A Padova, fu assistente di Filosofia del diritto e, a fianco di Eugenio Curiel, svolse la nota attività di “erosione” della cultura di regime tra gli universitari fascisti, attraverso il giornale “Il Bo”.
Sempre impegnato culturalmente e politicamente, insegna poi all’Istituto magistrale “Duca d’Aosta” e al Liceo Classico “Tito Livio”. Morirà a Padova nel 1978.
Il nome del circolo padovano deriva dall’antica denominazione della via Nazario Sauro, via Pozzetto, sede del Circolo al numero 4.
La sede apre le sue porte il 20 ottobre 1956 con una mostra delle opere di Tono Zancanaro, legato da profonda amicizia a Ettore Luccini e, per quattro anni, all’insegna di un “orizzonte aperto”, Luccini cerca di dare un volto nuovo non solo alla città, ma anche al rapporto tra la classe intellettuale di sinistra e la massa popolare.
La prima sede è piuttosto piccola, per cui l’anno successivo il circolo si trasferisce in via Emanuele Filiberto, dove sarà possibile tenere conferenze e dibattiti e non solo mostre.
La sede è condivisa dall’Università Popolare, una coabitazione interessante. 
Luccini intende il “suo” Pozzetto come un luogo libero di confronto che favorisse le reciproche conoscenze e aprisse feconde collaborazioni tra intellettuali, come scrittori, musicisti, artisti, registi e la classa popolare: ecco il significato del motto “orizzonte aperto”, che sarà poi il titolo di una mostra in sua memoria del 1979.
La breve stagione del Pozzetto merita di essere ricordata per il tentativo di rompere un appiattimento conformistico della città e di dare una vivacità culturale ad un ambiente considerato un “muro di gomma”. Capiremo nel proseguio come anche per questi motivi, anno dopo anno, il Pozzetto diventò scomodo e nel ’60 con l’ultima mostra il circolo dovrà chiudere. 
Il Pozzetto organizzò conferenze su arte, musica, cinema, teatro, letteratura, scienza sempre di alto livello qualitativo e diverso dal piano sul quale operava l’Università Popolare. 
Fra i nomi più significativi chiamati a tenere conferenze cui seguivano vivaci dibattiti è utile, al fine di indicare a titolo esemplificativo il clima culturale multidisciplinare del Circolo, ricordare: G. Levis, Mario De Micheli, Franco Fortini, Giovanni Comisso, U. Croatto, Gianni Colombo, M. Spinella, Diego Valeri, Italo Calvino, A. Sanna.
Vengono ospitate mostre di artisti locali come: Tono Zancanaro, ma anche di artisti ormai internazionali come Virgilio Guidi, Ernesto Treccani, Giuseppe Zigaina, Bussotti, Meneghesso, Alberto Biasi e dà spazio al nascente Gruppo N.
Percorriamo con ordine l’attività del circolo.

1956: Zancanaro e Zigaina
Tono Zancanaro, disegno

Il ciclo di attività prende avvio emblematicamente dalla conferenza “Arte italiana dopo una decennale polemica tra astratti e figurativi” di Luigi Ferrante nel 1956, in mostra ci sono gli esiti delle ricerche italiane e padovane più attuali si alternano alle opere contemporanee di artisti polacchi, messicani, tedeschi.
Sia nel dibattito, sia nella mostra emerge il passaggio dal movimento figurativo a quello astratto. Questa spaccatura prosegue in parallelo per le varie attività, viste subito come situazioni di provocazione per la parte del pensiero, dell’immaginazione, della sensibilità. 
Perché il Circolo apre con la mostra di Zancanaro? Nel 1956 Zancanro è l’artista padovano più famoso e conosciuto dai suoi concittadini, era iscritto al PCI, era grande amico di Ettore Luccini, era palese l’intento di coinvolgere la città e la classe operaia. Zancanaro, la cui poetica è realista, aveva amicizia con Carlo Levi, Renato Guttuso e Mino Maccari.
Nel 1942 aveva conosciuto a Milano Ernesto Treccani, che a sua volta lo aveva messo in  contatto, a Roma, con Renato Guttuso, e con Alberto Moravia e la Elsa Morante.
Alla mostra di Tono Zancanaro si affianca quella dell’artigianato cinese. Tono visita la Cina nel 1956, come membro di una delegazione di artisti italiani tra cui Agenore Fabbri, Aligi Sassu e Giulio Turcato. 
Per Tono il viaggio rappresenta un’esperienza intensa. La visita di Pechino (in particolare il Tempio della Pace Celeste), di Sciangai, di Mukden industriale, la Grande Muraglia, ma sicuramente di più la visione dell’antica capitale imperiale Hang Ciu la gente, il popolo cinese lasciano in Tono un segno incancellabile, un’impronta stilistica che da allora sarà presente nel suo lavoro.
“Il viaggio in Cina il fatto più singolare della mia vita di artista, di uomo di cultura: un’autentica avventura. (…) Nei paesaggi di Pechino e nei ritratti si ritrovano i segni dei miei paesaggi padovani e dei ritratti italiani. È La mia immagine della Cina popolare”.
La Cina a quel tempo è ancora la Cina di Mao, abbastanza sconosciuta culturalmente (le famose statue dell’esercito di Terracotta saranno scoperte solo nel 1974).
I giornali dell’epoca danno largo spazio all’apertura del Circolo del Pozzetto, alla mostra di Tono Zancanaro e a quella dell’artigianato cinese; quale miglior modo di avvicinare la Cina al mondo padovano, facendo vedere come gli aspetti della vita, lavoro, famiglia, terra da coltivare, artigianato sono categorie presenti anche in Cina?

Sempre nel 1956 interviene Giuseppe Zigaina con una mostra contrassegnata dal suo drammatico segno, un segno scavato che vuol significare la nella “coscienza del mondo” come emblema della fatica di vivere, la fatica dell’uomo emerge dalla stessa natura e dagli oggetti insieme all’amore per la terra. L'opzione di Zigaina per il Realismo ha le sue radici in una scelta di campo conseguente alla famosa diatriba artistica che scuote il Belpaese nel 1948.
La mostra presso la sede dell’Alleanza Della Cultura tenuta in quell’anno scatena la reazione di Palmiro Togliatti contro l’arte astratta sulle pagine di “Rinascita”.
Secondo l’allora segretario del Partito Comunista Italiano quella astratta è un’arte elitaria, lontana dalle masse proletarie e incapace di rivolgersi al popolo in maniera chiara e comprensibile.
È il momento in cui l’arte italiana si spacca e nascono due schieramenti opposti: 
1. il Fronte Realista, che ha i suoi massimi esponenti in Renato Guttuso, Ernesto Treccani e Giuseppe Zigaina; 
2. il Fronte Astratto che vede il gruppo “Forma 1” (Carla Accardi, Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo, Giulio Turcato, Concetto Maugeri e Mino Guerrini) che continuano la loro ricerca astratta definendosi “formalisti e marxisti”.
Giuseppe  Zigaina, olio

La mostra di Zigaina al Pozzetto, si connota quindi come un riconoscimento al realismo che rappresenta la situazione abbastanza dolorosa della storia recente dell’Italia e della difficoltà della ricostruzione, dove, accanto al boom economico, ci sono situazioni difficili di sottosviluppo, soprattutto nelle classi contadine del Meridione. 
Zigaina volge lo sguardo agli ambienti quotidiani e popolari, con i personaggi portatori di piccoli o grandi drammi, ed all’Italia scossa dapprima dagli squilibri sociali ed economici del ventennio e in seguito dalla miseria del dopoguerra, fondando la propria poetica su tematiche quali la guerra, la lotta partigiana, gli eventi del dopoguerra e le rivolte contadine ed operaie. 
Un realismo che rappresenta la dolorosa situazione del popolo italiano del dopoguerra che vira con il tempo verso un realismo più esistenziale, più attento alle realtà interiori, con un impiego del segno in funzione allegorica. Il suo impegno ha quindi una funzione educativa e allegorica come vuole il PCI e a cui il Pozzetto aderisce con convinzione.

1957: I cinematografici polacchi, Treccani, Guidi 
Nel 1957 si allestisce una mostra veramente particolare, quella dei manifesti cinematografici polacchi.
Il significato di “manifesto” è di far vedere e il suo scopo è attrarre, pubblicizzare, far vendere; deve quindi essere accattivante e graficamente si risolve con pochi colori e con forme comprensibili.
Il cartellone è una specie di “sillabario” che insegna a leggere la pittura contemporanea, le forme e il linguaggio dell’arte attraverso la vivacità immediata intesa come momento educativo per le masse.
I manifesti dei film americani e non solo che arrivavano in Polonia, erano ritenuti non adatti dai dirigenti del partito comunista. Quelle immagini sfavillanti, fatte di primi piani di celebrità e spruzzate d'aerografo dovevano sembrare davvero troppo occidentali. Gli artisti polacchi erano quindi incaricati di ridisegnarli con uno stile più aderente ai valori socialisti e alla tradizione grafica europea.
Sono lontanissimi da quell'ansia tutta hollywoodiana di produrre poster ammiccanti che aiutano a vendere creando miti e icone del consumismo.
Esempio: “Colazione da Tiffany”, confronto tra il manifesto americano e quello polacco. Il manifesto polacco rappresenta una bellissima ragazza con un gatto sulla spalla, tutto pieno di colori, con sullo sfondo Eros che lancia una freccia: non è certo l’immagine di una prostituta d’alto bordo quale è la protagonista, mentre nel manifesto polacco c’è sempre una ragazza elegante, ma praticamente è realizzato in bianco e nero, con un realismo che c’entra alla perfezione il significato del film.
I manifesti polacchi sembrano venire invece da chissà dove, lontano nel tempo e nello spazio, sinteticamente geniali nel fissare in una sola immagine il sentimento del film. Viene da sorridere se si pensa che in molti casi questi manifesti sono molto più belli della pellicola pubblicizzata. 
Ernesto Treccani arriva a Padova con una mostra che è un po’ il compendio dei suoi disegni dal 1942 al 1957 e porta l’esperienza del gruppo “Corrente” di cui fa parte insieme a Renato Guttuso, Ennio Morlotti, un movimento artistico sviluppatosi a Milano tra il 1938 e il 1943, con “un’arte che riconosce l’artista in quanto tale e lo inserisce in un contesto sociale e politico”: sono queste le premesse per il Fronte Realista.
Ernesto Treccani, olio

Treccani porta la conoscenza diretta della realtà umana e sociale, il pensiero politico e sociale dei lavoratori, degli sfruttati sviluppando un’arte impegnata di figurazione realista che lo inserisce come pittore in un contesto pubblico e politico.
La realtà contadina calabrese, conosciuta direttamente nei lunghi soggiorni a Melissa, e il paesaggio urbano industriale di Milano e di Parigi costituiscono in questo periodo i temi fondamentali della sua pittura, un’arte in cui è soffusa la poesia tra sentimento e realtà (“Maternità”, “Contadino”, “Periferia di città”).
La mostra di Treccani dà la possibilità ai giovani pittori padovani di mettersi a confronto con realtà che sentivano vicine: ricordiamo Gianni Longinotti che negli anni 1955-1957 si avvicina proprio al mondo di “Corrente”.
Sempre nel 1957 arriva al Pozzetto l’artista Virgilio Guidi che porta in mostra “l’annullamento della tavolozza squillante” definita “un trionfo di poesia e sintesi visiva”.
Nato a Roma e spostatosi poi, nel 1927, all’Accademia di Belle Arti di Venezia predicava una “luce a picco”, dissolutrice, ma che, nello stesso tempo, doveva esaltare la forma e la materia.
Luce, forma e colore sono - e resteranno - un trinomio inscindibile, i soli strumenti idonei a esprimere un'idea della pittura che è sostanzialmente necessità di una nitida misura mentale. 
Virgilio Guidi


Anche quando, a partire dagli anni Cinquanta, il riferimento alla figurazione si farà sempre meno esplicito, la continuità con la produzione precedente verrà mantenuta nella tensione metafisica dello spazio-luce, ulteriormente sublimata dalla fondamentale esperienza veneziana.
Guidi a Venezia si sente isolato, incompreso, tanto che nel 1935 lascia la città, dove tornerà solo saltuariamente e a va a insegnare all’Accademia di Belle Arti di Bologna. In esposizione tra le tante opere due marine degli anni ’50 che sono un po’ la summa del lavoro iniziato con la luca a picco nel 1927; l’esperienza veneziana per Guidi è stata fondamentale perché Venezia è fatta d’acqua, di riflessi, di elementi indispensabili per realizzare il trinomio luce, forma, colore.

1958: I “capricci” di Goya
Ancora una mostra particolare, soprattutto, in un contesto d’arte contemporanea: l’esposizione di 80 “capricci” di Francisco Goya, eseguiti nel 1799, prestati da un musicista collezionista italiano al Circolo del Pozzetto.
Francisco Goya, incisione

Sono 80 tavole con pensieri stravaganti, fantasie grottesche, strane messe in scena.
Titolo della mostra: “Il sonno della ragione genera mostri”. I capricci di Goya descrivono in maniera lucida e pungente i pregiudizi, gli inganni, le menzogne della società spagnola dell’epoca, non tralasciando nessuna classe sociale, delle più ricche alle più povere, dalla Chiesa, alla nobiltà fino alla famiglia reale. La mostra fu così recensita: “i soggetti ispiratori sono più che mai incombenti, oggi che il mondo è attraversato senza sosta dalle saettanti minacce dell’atomica e da quelle non meno insidiose dei costumi e delle tendenze moderniste”.
Ecco dunque il perché di questa esposizione in un momento di grande tensione tra USA e URSS, in un momento di cambiamento dei costumi, di grandi contrasti e minacce di nuove guerre. Sono situazione che ripropongono, dopo 150 anni, la denuncia del pittore spagnolo.
Sempre nel 1958 vengono fatte mostre dedicate agli artisti locali vicini al pensiero comunista come Otto Mazzuccato, con opere dedicate a chiese e paesaggi dell’antica Russia, Armando Pizzinato con disegni e bozzetti in uno spazio dedicato anche a coloro che avvertono e descrivono una società che cambiando.

1959: Gli artisti padovani e John Cage
Nel 1959 e 1960 vi sono due mostre significative: è questa la stagione che rappresenta il cuore del Pozzetto e ne segna contemporaneamente la fine.
La mostra del 1959 è dedicata ad una collettiva di artisti padovani e quella del 1960 presenta invece “La Nuova Concezione Artistica” con Alberto Biasi, Enrico Castellani, Heinz Mack, Piero Manzoni, Manfredo Massironi.
Nella prima mostra i protagonisti sono: Ubaldo Bosello, Renzo Bussotti, Antonio Fasan, Franco Flarer, Armando Lazzaroni, Adriana Lizier, Aldo Lovisetto, Piero Mancini, Giulio Marcato, Paolo Meneghesso, Enrico Parnigotto, Primo Pegoraro, Giorgio Peri, Piero Perin, Enrico Schiavinato, Alfredo Tosello, Tono Zancanaro.
In questa collettiva troviamo l’anima della tradizione padovana contemporanea con opere di pittura, scultura, ceramica, disegni e incisioni.
La presentazione della mostra è firmata Diego Valeri con parole di un’attualità sorprendente che possiamo riferire anche al nostro tempo: “Questa Padova che cresce e cresce smisuratamente, dando sfogo a sempre più vaste e audaci ambizioni, pare non abbia nessun sospetto, nessuna paura, di giocarsi l'anima.
A noi, padovani vecchi, naturalmente attaccati al passato, alla tradizione, e straziati dallo scempio delle vecchie cose, viene talvolta il dubbio di aver torto: visto, ultimamente, scomparire in frettolosa sepoltura poveri canali, fosche mura e i giardinetti ombrosi; non ci aspettiamo più niente di peggio. Chissà che non venga il meglio.
Antonio Fasan, catalogo antologico


E allora chiediamo aiuto agli artisti, ai pittori: che ci dicano essi se qualche cosa non sia già nata che possa annunciare e prefigurare la nuova anima padovana.”
Ci soffermiamo sulla presenza di alcuni degli artisti in mostra:
Ubaldo Bosello, nelle sue opere si ritrova la poesia delle piccole, cose e nelle immagini semplici della memoria. Raffigura l’immediata periferia di Padova intorno alla metà degli anni trenta. Ritroviamo i personaggi nostalgici della sua infanzia: “tristi, gracili e denutriti ma padroni di larghi spazi liberi, di piccoli preziosissimi oggetti, di lunghi, interminabili sogni”. Nitido risulta il rifiuto della civiltà contemporanea, del consumismo che uccide i sogni. Per esempio in “Case del Prato” fa vedere la città con un nuovo aspetto, non è più il bel paesaggio da ammirare, ma la realtà di una trasformazione.
Aldo Lovisetto, con il suo modo di dipingere quasi naif in cui accumula monumenti padovani quasi come in una ideale cartolina mentale ravvisabile in “Veduta di Ognissanti” e “Padova monumentale”.
Adriana Lizier, filtra gli insegnamenti delle vecchie scuole con “La donnina dei colombi”.
Antonio Fasan, artista della quotidianità, spesso identificato come naif di provincia perché autodidatta, riesce però a maturare un suo linguaggio riconoscibile. La sua composizione è contrassegnata da un cromatismo abbastanza acceso, con punte di relaismo magico.
Immagini diafane, gioiose e prospetticamente improbabili si ritrovano in “Le sacre coeur” e “Autoritratto”.
Siamo alla fine del 1959, Alberto Minotti tiene una conferenza dal titolo “Aspetti attuali della giovane pittura italiana”, dove viene sollevata la questione del cambiamento e della svolta generazionale. Al Pozzetto viene denunciato il fatto che non si può rimandare il confronto con la cultura internazionale: “non possiamo accontentarci dei nostri dibattiti, delle nostre mostre più o meno avanzate o tradizionali, dobbiamo renderci conto di un mondo più ampio e portarlo al nostro tempo per tutte le forme d’arte”.
John Cage a Padova

Arriva al Pozzetto John Cage ed è uno shock: con la sua musica d’avanguardia cade tutto ciò che era basato sulla centralità dell’artista e del compositore. Tutto ciò che era di stampo romantico, la tradizione del passato, viene distrutto, prende campo l’idea del gruppo, della collettività. 
Solo John Cage può fare questo passo, è un americano che non ha nessuna tradizione colta a cui rifarsi, non sente il peso schiacciante della plurimillenaria cultura europea, non è in soggezione di fronte alla tradizione dei classici, dei padri della musica.
Un suo spartito musicale non è basato sul pentagramma classico, ma vengono segnati momenti di silenzio, momenti di suono, momenti di rumore, tutto con una sequenza logica.
Prima di venire a Padova, Cage aveva partecipato, come esperto di funghi, alla trasmissione televisiva “Lascia o raddoppia?” quiz condotto da Mike Buongiorno. Durante la trasmissione ottenne di esibirsi in un concerto usando strani strumenti: un annaffiatoio, una vasca da bagno, delle radio, un pianoforte, cubetti di ghiaccio, una pentola a vapore e altro.
Le teche della RAI non ci danno la possibilità di accedere al filmato originale, ma sono rimasti trascritti i dialoghi tra Cage e Buongiorno.
M.B.: "Bravissimo, bravo bravo bravo bravo. Bravo bravissimo, bravo Cage. Beh, il signor Cage ci ha dimostrato indubbiamente che se ne intendeva di funghi... quindi non è stato solo un personaggio che è venuto su questo palcoscenico per fare delle esibizioni strambe di musica strambissima, quindi è veramente un personaggio preparato. Lo sapevo perché mi ricordo che ci aveva detto che abitava nei boschetti nelle vicinanze di New York e che tutti i giorni andava a fare passeggiate e raccogliere funghi".
J.C.: "Un ringraziamento a... funghi, e alla Rai e a tutti genti d'Italia".
M.B.: "A tutta la gente d'Italia. Bravo signor Cage arrivederci e buon viaggio, torna in America o resta qui?"
J.C.: "Mia musica resta".
M.B.: "Ah, lei va via e la sua musica resta qui, ma era meglio il contrario: che la sua musica andasse via e lei restasse qui".
È proiettato poi un filmato di uno spezzone televisivo di una trasmissione americana, molto simile a quello che Cage deve aver eseguito in RAI con le reazioni del pubblico sommerso dalle risate.
Il Pozzetto ospita Cage e promuove una serie di lezioni di musica d’avanguardia coordinate da Teresa Rampazzi che si avvicinerà alla musica d’avanguardia elettro-acustica e fonderà nel 1965, insieme a Ennio Chiggio, il gruppo N.P.S. (Nuove Proposte Sonore). Lavoreranno con apparecchiature analogiche e saranno i primi studi di musica sperimentale elettronica.
Sul Gazzettino locale il commento al concerto di Cage al Pozzetto: “Ieri sera, nella sala della Galleria AI Pozzetto, abbiamo ascoltato un concerto di Mr Cage... a base di "nuovi suoni". E suoni sempre nuovi ci ha offerto ieri sera Mr Cage con la collaborazione di Teresa Rampazzi, di Klaus Metzger e di Sylvano Bussotti e valendosi di due pianoforti e di tanti altri oggetti sonori e rumorosi, come viti, bastoncini, verghette ecc... Il pubblico era folto ed attento e ha seguito con viva curiosità questa musica fatta di silenzi, di colpi e anche di qualche suono.. (questo movimento musicale) probabilmente nasce da una esigenza sentita riallacciandosi a tendenze irrazionalistiche e a movimenti d'arte cosiddetta "informale".... Non si vuole un po' troppo precorrere i tempi, proponendo un nuovo linguaggio musicale, quando ancora il grosso pubblico considera ancor oggi incomprensibile il messaggio di gran parte della musica contemporanea?”
La cultura ufficiale non accetta facilmente questo tipo di operazione e se noi allarghiamo la domanda dell’articolista all’arte contemporanea dell’epoca possiamo capire perché la stagione ’59-’60 del Pozzetto fu l’ultima: erano proposte troppo precorritrici dei tempi.

1960: La Nuova Concezione Artistica
“La Nuova Concezione Artistica” trova spazio al Pozzetto con la mostra di Alberto Biasi, Enrico Castellani, Heinz Mack, Piero Manzoni.
Anche qui si affianca una conferenza-dibattito di Luigi Ferrante “Dibattito sull’arte non figurativa”; è una mostra importante perché getterà le basi per la sperimentazione da cui prenderanno origine le vicende del Gruppo N. è l’ultima mostra perché né Padova né il Partito Comunista padovano e nazionale si rivelarono disposti ad accogliere la sfida di Luccini, quella dell’”orizzonte aperto”.
La mostra desta scandalo; nel manifesto della Nuova Concezione Artistica si pongono le basi di un rapporto nuovo tra arte e tecnologia, tra creatività intellettuale e coscienza della produzione collettiva.
Nel manifesto si dichiara che l’arte è essenzialmente ricerca e si afferma che l’artista in quanto singolo ha definitivamente chiuso con l’individualismo sentimentale; si impone la difesa di un’etica di vita collettiva, di vita di gruppo. L’opera non vive più nello spazio bidimensionale della tela, ma si espande in tutte le dimensioni soprattutto in rapporto alla luce e ai cambiamenti che essa determina. 
Lo spettatore viene coinvolto e chiamato a partecipare all’opera d’arte.
Gruppo Enne, catalogo antol.


In tutta Europa stanno nascendo movimenti analoghi, Gruppo Zero, Gruppo T, Gruppo Motus, artisti che sentono l’esigenza di sviluppare le ricerche visive e cinetiche per quanto riguarda la psicologia della percezione. Nasce l’Arte Cinetica o Arte Programmata, in cui vi sono opere aperte che hanno una base fondamentale: il movimento. Il movimento viene reso in due modi: movimento reale attraverso dei meccanismi che muovono l’opera, movimento illusorio o ottico reso con movimenti di luce, in ogni caso siamo noi spettatori ad essere chiamati in causa.
Enrico Castellani e Piero Manzoni azzerano la tradizione attraverso lo studio e la costruzione del monocromo e del rilievo. Piero Manzoni prende la tela, la imbeve di caolino liquido e di colla e la lascia asciugare: la trasformazione che avviene è la materia e il risultato è chiamato “superficie achroma”. Manzoni espone anche “Linee di lunghezza infinita”, contenitori cilindrici senza aperture in cui sono inserite idealmente linee che esistono come puro concetto: ina linea infinita produce un’opera infinita.
Heinz Mack proviene dal gruppo tedesco Zero, dove era molto sentita la smaterializzazione, la liberazione del colore e della sensibilità spirituale della materia e della forma.
Otto Piene, Heinz Mack e Günther Uecker - parlano di “una liberazione del colore”, di una “sensibilità spirituale della superficie”. Il nome Zero vuole indicare “una zona di silenzio e di possibilità pure per un nuovo inizio”.
Con Manfredo Massironi e Alberto Biasi abbiamo la promozione poi di quello che sarà il Gruppo N.
Proprio nel dicembre del 1960 si apre, per modo di dire, la “Mostra a porte chiuse” del Gruppo N, oggi divenuto di fama internazionale, cui seguì "l'esposizione del pane", esplicito dissenso verso il culto della personalità ed il mito della creazione artistica.
La coraggiosa presa di posizione di Ettore Luccini nei confronti delle espressioni di arte contemporanea e di avanguardia prima gli fa perdere il posto e poi la stessa direzione del circolo a cui succederà la chiusura.